Lyonel Feininger. Fuga d’arte
Danilo Curti-Feininger
Nel 1965, anno in cui Theodor Lux e Andreas Feininger curavano un volume nel quale tratteggiavano il carattere umano e artistico più intimo del padre Lyonel[1], l’altro fratello Laurence, a Wiesbaden, teneva presso lo Städtisches Museum, su invito del direttore Clemens Weiler, una conferenza nella quale, per la prima volta, seguendo più le suggestioni dei ricordi familiari che non i registri di un metodo musicologico, ne ricostruiva il rapporto con la musica. L’occasione fu offerta dall’esposizione in una retrospettiva dedicata a Lyonel stesso di un autografo musicale sconosciuto ai più. Lo sguardo sulla vicenda artistica e intellettuale di Lyonel Feininger acquisiva così quegli elementi, fino ad allora poco indagati dalla critica[2], in grado di svelare, forse compiutamente, la genesi e lo sviluppo della sua arte.
I contenuti della conferenza arricchiti da altri materiali, quali un’elencazione di fonti, alcuni ricordi di Hans Brönner e la stampa anastatica delle tredici fughe per pianoforte e organo di Lyonel Feininger, conobbero una maggiore diffusione nel 1971 quando, in occasione del centenario della nascita, fu pubblicato dall’editore Hans Schneider, Das musikalische Werk Lyonel Feiningers. Fu il lacerto sul quale prese forma quel nuovo disegno interpretativo cui contribuirono, come in una partitura polifonica, le voci della critica artistica e musicale più attente a restituire la dimensione autentica di un pittore “bachiano”[3]. E fu il la per aprire il sipario su quell’orchestra di voci, timbri, toni, ritmi, accordi e colori che legavano, quasi in un’innata sinestesia spirituale, le due arti, dove la musica non era ancella della pittura e viceversa, ma viveva di luce propria e con pari dignità dentro il corpo dell’energia creativa di Lyonel; una convinzione ribadita con forza da Laurence:
“Sono convinto, come musicista e musicologo, con decise predilezioni artistiche per le creazioni per organo di Bach e Buxtehude, che alle fughe di mio padre, indipendentemente dalla modestia del numero, almeno all’interno dell’opera generale, spetti la stessa importanza, in fatto di validità creativa, che ad ogni altro settore delle sue produzioni: dipinti ad olio, acquerelli, grafica, nonché tutte le altre manifestazioni […]; è un’opera complessiva che senza la sua musica non sarebbe completa, né completamente comprensibile”[4].
E fu un’ulteriore riprova di quanto la musica e le sue più diverse forme costituissero una sorta di filo rosso che legava l’esistenza di Lyonel Feininger, a quella del padre Karl prima e del figlio Laurence dopo, marcando un’epoca, quella del Bauhaus e le esistenze di intere generazioni travolte dalla cecità dei totalitarismi e dalle tragicità dei due conflitti mondiali: musica come fonte di creatività e consolazione, musica madre, sacra, generatrice di spiritualità, medicina salvifica dello spirito, musica come Ponte universale tra le arti e interprete autentica della vita interiore.
Le case della musica
La Musica è sempre stata respiro vitale per gli abitanti delle case Feininger: un’arte vissuta intensamente, studiata, eseguita, amata, regalata ad amici ed estimatori dentro e fuori di esse e che ha animato, con ardore e passione, i suoi inquilini sempre assetati di suoni. Lyonel, ad esempio, affermava di sentirsi dimezzato, lacerato e tormentato senza quella musica che per lui era inesauribile fonte di vita. Una musica che ha creato e dato senso, luce e colore alle presenze umane, inventando linguaggi segreti, battendo il tempo dello spazio spirituale, dettando il ritmo del cuore. La musica classica strumentale e vocale costituiva un archivio sempreverde che racchiudeva le partiture di Beethoven, Benevoli, Brönner, Buxtehude, Bruckner, Chopin, Couperin, Dufay, Händel, Mendelssohn, Mozart, Purcell, Scarlatti, Schumann, Schütz, Schubert, Vivaldi e altri ancora, ma soprattutto di Bach. Un archivio interiorizzato, eseguito e interpretato con una moltitudine di strumenti: il violino, l’armonium, il pianoforte, l’organo, il flauto e il clarinetto, l’oboe, il banjo… la voce. Nelle sole stanze abitate da Lyonel nel corso di una vita trascorsa tra Berlino, Parigi, Weimar, Dessau, New York trovano posto due violini di liuteria tedesca di fine Ottocento, un armonium Estey[5] a più registri (affini a certe suggestioni timbriche dell’organo), un piano a coda Bechstein, un piano Baldwin e non ultimi, altrettanti prodigi dell’evoluzione tecnologica, un grammofono e l’immancabile radio, l’uno per l’ascolto della ricca collezione di dischi e l’altra dei vari concerti trasmessi.
La musica era pane quotidiano già in casa di Karl Wilhelm Friedrich Feininger (Durlach 1844-New York 1922) e di Elizabeth Cecilia Lutz (18-1927), i genitori di Lyonel[6], entrambi didatti temprati e concertisti di fama. Il padre Karl, violinista “prodigio” fin dai quattordici anni, direttore d’orchestra e compositore apprezzato dal sommo Franz Liszt; la madre Elizabeth – nativa del New Jersey – cantante e pianista, spesso impegnata in tournée concertistiche in Europa e in America con il marito. Karl studiò il violino negli Stati Uniti con August Koepper e ritornò in Germania all’età di sedici anni, intorno al 1860, per studiare al Conservatorio di Lipsia con il grande violinista e compositore Ferdinand David. Dopo il suo rientro negli Stati Uniti, nel 1864, proseguì la sua attività di solista e compositore debuttando nel 1886 a Berlino con l’esecuzione di alcune grandi opere per orchestra (sinfonie, suite e poemi sinfonici). Le sue maggiori attenzioni furono però rivolte all’insegnamento. Diresse, infatti, per trentadue anni il dipartimento di musica della Low and Heywood School for Girls di Stamford nel Connecticut. Qui sviluppò una nuova metodologia per lo studio del pianoforte basata sulla piena e diretta conoscenza dei caratteri umani, esperienza poi compendiata in An experiential psychology of music, summa pedagogica data alle stampe nel 1909[7]. Si tratta della felice sintesi di una serie di riflessioni maturata nel corso di lunghi anni trascorsi a scandagliare il fenomeno musicale[8]. Un’opera vestita di quell’idealismo tipico della cultura tedesca del periodo e che affondava le sue radici nel pensiero e nella filosofia di Immanuel Kant e Arthur Schopenhauer. Karl si spinse fino a trovare dei corollari religiosi alla triade fondamentale. Nella sua visione la tonica, la mediante e la dominante erano altrettanti riflessi di Dio, uomo e natura e, per estensione, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
La musica pervase anche le dimore nelle quali si stabilirono Lyonel, la prima moglie Clara, pianista e figlia del pittore Gustav Fürst, e la seconda moglie Julia Lilienfeld (1881-1970), pittrice e raffinata cultrice dell’arte dei suoni.
Le scelte di Lyonel
Lyonel Feininger nasce a New York il 27 luglio 1871. Il destino non sembra potergli riservare particolare sorprese se non di diventare, sulle orme del padre, un professionista della musica. Fin da ragazzo si esibisce, infatti, col violino accompagnando il padre Karl e la madre Elizabeth nei loro concerti. A dodici anni è già considerato una sorta di ragazzo “prodigio” e quando, nell’ottobre del 1887, il giovane Lyonel s’imbarca per Amburgo, per raggiungere i genitori impegnati in una nuova tournée concertistica in Europa, l’intenzione principale – secondo le aspirazioni del padre – era quella di perfezionare l’istruzione ricevuta in famiglia proseguendo gli studi accademici presso il Conservatorio di Lipsia. Durante il viaggio il giovane decide però di modificare i piani: da tempo la mera esecuzione musicale, fatta di estenuanti e ripetitivi esercizi, non lo soddisfa pienamente. Gli manca il respiro offerto dalla libera invenzione. Coltiva pertanto un diverso sogno: il disegno, la pittura. Il padre, pur disapprovando i nuovi interessi del figlio, permette a Lyonel d’iscriversi alla Kunstgewerbeschule di Amburgo e l’anno successivo alla Königliche Akademie di Berlino.
Proprio a Berlino, siamo nel 1889, Lyonel divide l’appartamento con Fred Werner, un giovane organista di nazionalità australiana. Werner disvela a Feininger la grande ricchezza della musica barocca tedesca, facendogli conoscere le composizioni contrappuntistiche di Johann Sebastian Bach e rendendolo partecipe di quella cattedrale dei suoni dove il re degli strumenti, l’organo appunto, parlava, cantava e dialogava attraverso i suoi registri, dall’umano al divino, direttamente con lo spirito creatore.
Lyonel rimane profondamente scosso soprattutto dall’ascolto, nella sinagoga sulla Unter den Linden, delle opere di Bach eseguite da Fred all’organo[9]. “Quando ascolto Bach – confesserà nel 1905 – oh, allora non mi è proprio possibile descrivere il mondo che sento sorgere dentro di me”[10].
Ciò che si apre davanti a Lyonel è un vero e proprio Universo, tanto inesplorato quanto affascinante, che integra quello della tradizione romantica, da Beethoven a Schumann, di cui era stato principalmente cibato dai suoi genitori[11]. Werner accompagnò Feininger passo a passo nell’esplorazione dei due volumi di Bach del Clavicembalo ben temperato (Das Wohltemperierte Klavier, pubblicati rispettivamente nel 1724 e nel 1742).
Al di là del violino – che ricomparirà ancora nelle sue mani episodicamente – il pianoforte e gli altri strumenti a tastiera non erano mai stati fino a quel momento per lui oggetto d’interesse, così come i principi di armonia e contrappunto. Eppure questa rivelazione lo portò a esercitarsi ossessivamente, spesso per più di sei ore giornaliere, sulle pagine del Wohltemperiertes Klavier fino a eseguire a memoria tutti i 48 preludi e fughe e a saperli trasporre interamente in una qualsiasi altra tonalità. Lo testimonia il figlio Laurence:
“Ben presto – ricorda Laurence – egli avrà talmente interiorizzato la struttura musicale dell’opera bachiana da riuscire a trasportare a orecchio la tonalità delle fughe, esercizio che per lui equivaleva a una ‘ri-costruzione dall’interno’ dell’opera […], prova di una grandezza costruttiva del tutto inconsueta e di una straordinaria capacità di concentrazione” [12].
E lo confermano alcuni passi di lettere che Lyonel indirizzò a Elisabeth Mayer:
“Per quanto riguarda le mie doti al piano – scrive il 19 maggio 1918 – è opportuno che si informi presso la Signora Siddi Heckel! Le dirà che sono un virtuoso molto originale! Non ho mai studiato pianoforte, bensì violino – e non le so dire quanto questo mi sia dispiaciuto negli ultimi 25 anni. Tuttavia un tempo sedevo ogni giorno 6-8 ore sul Wolthemperiertes Klavier e sapevo suonare a memoria (e suono ancora oggi, ma non sono che macerie) 48 preludi e le rispettive fughe. Ma ora suono in modo così diseguale, visto che negli ultimi dieci anni mi esercito solo sporadicamente, ed è una vergogna. È un vero peccato. Devo venire al mondo un’altra volta e allora agirò diversamente! Mia gentile Signora la preparo anticipatamente a questa delusione! Ma ad un dato momento mi sono detto, o dipingi o studi musica seriamente, ed allora ho seppellito il violino: mentre per il pianoforte che non si lascia seppellire così facilmente devo per l’appunto soffrire. Io mi accontento; sono felice, ma da solo”[13].
L’incontro di Feininger con Bach fu, fin dal primo istante, un’epifania, una passione e un legame che lo accompagneranno per tutta la vita: “Bach è il mio destino, assieme a Buxtheude e Schütz”, confesserà ancora nel dicembre del 1949 all’amico Mark Tobey[14]. Un’affinità non solo sul piano musicale, ma soprattutto, proprio in quanto “ricostruzione dall’interno dell’opera”, anche su quello pittorico-espressivo.
Probabilmente, la teoria della relazione tra colore, temperamento e tempo, espressione di quella sinestesia delle arti che tanto affascinava gli intelletti del tempo, dovette contribuire a consolidare in Lyonel la convinzione che la musica rappresentava il linguaggio più segreto della vita[15].
Dovevano passare, però, diversi anni – come ben rileva Karin von Maur – prima che questo modello formale della sua pittura giungesse a delinearsi con chiarezza. È quanto affiora da una lettera del marzo 1913 scritta al pittore americano Alfred Vance Churchill, amico degli anni dell’Accademia di Berlino:
“Nel 1912 lavoravo in maniera del tutto indipendente e tentavo di strappare alla natura i segreti della prospettiva atmosferica e le gradazioni di luce e ombra, nonché il ritmo e l’equilibrio tra i diversi oggetti. Il mio ‘cubismo’, impropriamente chiamato tale, poiché rappresenta il contrario delle finalità dei cubisti francesi, si basa sul principio della monumentalità e della concentrazione fino all’estremo assoluto della mia percezione visiva […]. Suono Bach e Buxtehude sul mio armonium Estey; la musica di Bach è altrettanto indispensabile alla mia vita come l’aria che respiro e la pittura. I miei quadri si avvicinano sempre più alla sintesi della fuga musicale […]. Se proprio il mio ‘cubismo’ (denominazione ancora una volta impropria) deve avere un nome, preferisco chiamarlo ‘Prisma-ismus’”[16].
Dopo aver operato come caricaturista per circa quindici anni, liberato dalle catene che lo legavano alla satira politica e al lavoro di redazione, diventa finalmente “pittore”: una svolta artistica maturata all’interno di un più generale fermento socio-culturale, che culmina, proprio negli anni 1912-1913, in una sorta di grandioso spettacolo pirotecnico che offre, fra gli altri, l’opportunità di seguire le prime esecuzioni del Pierrot Lunaire di Schönberg e della Sagra di Strawinsky. Un cammino intrapreso insieme alla moglie Julia con la quale ha stretto un profondo legame umano e intellettuale. Con lei viaggia a Parigi tra il 1906 e il 1908; visita le mostre di Van Gogh e Cezanne; stringe amicizia con Pascin, Iribe e Delaunay; visita l’esposizione delle opere di Turner a Londra. Altre tappe centrali sono: la partecipazione nel 1910 e nel 1911 prima all’esposizione alla Berliner Secession e successivamente al Salon des Artistes Indipendants di Parigi dove incontra “il mondo artistico agitato dal cubismo”; l’amicizia nel 1912 con Alfred Kubin – col quale condivideva una spiccata predilezione per le sonorità dell’organo – e con gli artisti della Brücke Erick Heckel e Karl Schmidt-Rottluff; la partecipazione nel 1913, su invito di Franz Marc, all’Ersten Deutschen Herbstsalon organizzato a Berlino da Herwarth Walden, il fondatore del movimento Der Sturm. In questo momento riprende anche l’esplorazione dei piccoli villaggi della Turingia con le loro caratteristiche costruzioni e chiese in stile gotico. Da qui nasce il primo dei dipinti della famosa serie di Gelmeroda, un tema con variazioni, un’ossessione intima che lo accompagnerà per tutta la vita.
Parallelamente indaga il senso del rapporto fra musica ed espressione artistica. Lo testimonia l’intenso studio condotto sui nove volumi dell’edizione Peters dell’opera omnia per organo di Bach – metodicamente annotati – e di alcune composizioni particolarmente significative: tra le altre il Preludio e tripla fuga in mi bemolle maggiore BWV 552 (“15 giugno 1909”), il Preludio e fuga in mi minore BWV 548 (“16 maggio 1910”), il Preludio e fuga in sol maggiore BWV 541 (“19 maggio 1910”) o quello in do maggiore BWV 547 (“7 marzo 1913”). Pochi esempi di un percorso – talvolta accompagnato dalla moglie Julia, “mit Pulu” – che dal 1909 giunge fino al 1926 e mirato non soltanto alla mera esecuzione ma soprattutto all’analisi puntuale delle strutture compositive delle fughe.
La nuova strada intrapresa, del tutto personale, poggiava dunque sui principi della monumentalità e concentrazione dove il contrappunto e la “sintesi della fuga musicale” giocano non solo un ruolo primario nel vitalizzare gli spazi architettonici ma anche nell’armonizzarli con effetti coloristici di stereofonia policorale.
Bach renaissance
L’entusiasmo di Lyonel Feininger per la musica di Bach non rappresenta peraltro un caso isolato: tra Otto e Novecento il grande compositore fu al centro di una vera e propria riscoperta, passata alla storia come “Bach renaissance”, che prende le mosse dagli studi di Mendelssohn e trova compimento nella fondazione della Bach-Gesellschaft nel 1850. Ulteriori contributi vennero dalla biografia bachiana di Philipp Spitta (1841-1894) pubblicata in due volumi (tra il 1873 e il 1880), dalla nascita della Société J. S. Bach del 1905-1906, dalle opere di Hugo Riemann, così come dalle biografie di Albert Schweizer, J. S. Bach le musicien-poéte (Lipsia, 1905) o quello di André Pirro, L’esthétique de J. S. Bach (Parigi, 1908). Furono soprattutto i compositori contemporanei a contribuire, però, alla rivalutazione del grande Thomaskantor di Lipsia: fra questi si ricordano Max Reger, Ottorino Respighi, Edward Elgar e Ferruccio Busoni. Particolarmente interessanti alcune orchestrazioni di Arnold Schönberg fondate sulla constatazione che Bach era il modello sul quale aveva “conformato il suo senso formale” e nel quale scorgeva addirittura il precursore della musica dodecafonica.
La “Bach renaissance” è favorita e amplificata anche dalle arti figurative e da quegli artisti che muovendo verso l’astrazione avvertono la necessità di ancorarsi a una norma compositiva. I pionieri dell’astrattismo, alla ricerca di una base teoretica cui saldare l’abbandono dell’oggettualità, s’ispirano alla musica, e in particolare a quella bachiana, poiché appare loro – come scrive Kandinsky a Schönberg nel 1911 – “un’arte che ha la fortuna di poter fare assolutamente a meno di ogni scopo puramente pratico”[17].
Se tra i compositori molti si sentono in dovere di omaggiare il Gigante della fuga sfruttando il suo nome B.A.C.H. quale inciso melodico, a partire da Schumann e da Liszt, altrettanti artisti avvertono la necessità d’intonare il controcanto sulle loro tele: il primo che inserì già dal 1912 il nome di “J. S. Bach” nelle sue opere, fu Georges Braque, che introduceva volentieri nelle sue nature morte degli strumenti musicali. Si moltiplicano così gli omaggi a J. S. Bach e le opere intitolate “fuga” o che prendono il nome da altre partiture o elementi strutturali: ad esempio la monumentale “Fuga a due colori” di Frantisek Kupka o l’“Hommage à Bach” di August Macke, entrambi del 1912 e via via altre celebri opere da Wassily Kandinsky a Paul Klee fino ad Augusto Giacometti.
In un tale contesto forse ci si potrebbe attendere che anche Feininger avesse tentato, come ad esempio già prima della Grande Guerra il lituano pittore-compositore Konstantinas Ciurlionis, la trasposizione diretta colore-suono (una sperimentazione che proseguirà ancora negli anni venti, quando riprenderanno i tentativi, già avviati da Alexander Skrjabin, di unificare musica e pittura in opere simultanee, secondo le ricerche che andava sviluppando anche Alexander Làslò con i suoi concerti di Farblichtmusik, in cui Bach aveva un ruolo ispiratore, e che trovarono eco anche nel Bauhaus con le sperimentazioni di Ludwig Hirschfeld-Mack). Feininger, al contrario, forse proprio per i suoi studi sull’opera del Kantor, si astiene sempre dal tributargli nei suoi quadri omaggi evidenti o dall’utilizzare – come sottolinea Florens Deuchler – metafore di matrice musicale nei titoli dei suoi dipinti.
Rimane il fatto che strumenti e strumentisti – archi, fiati e tastiere – sopravvivono anche in numero modesto, in tutti i periodi creativi di Lyonel: dalla caricatura al disegno, dall’acquerello all’olio, un vero e proprio cantus firmus. Dalla fine dell’Ottocento ai primi anni cinquanta del Novecento si ritrovano, al di là di alcuni autoritratti al piano, quasi a marcare ironicamente la fatica dell’apprendimento delle fughe di Bach e del Clavicembalo ben temperato, alcuni cicli riferiti a tematiche quali “Carnival”, i “Trompeter” e i “Trompeterbläser”, le “Chanteuses”, “Der Geiger” e “Der Rote Geiger”, il “Blind Musician at the Beach”, la xilografia “The Virtuoso” e così via; tra tutti spicca l’unica opera conosciuta con riferimento esplicito anche nel titolo al re degli strumenti, l’organo, ossia il disegno a pastelli “Galanis an der Orgel” del 1908 che ritrae il collega greco Dimitris Galanis, disegnatore e caricaturista di “Le Temoin” e dell’“Assiette au Beurre”[18].
È facile cogliere in questi anni, che sono il viatico verso l’ingresso al Bauhaus, la crescente consapevolezza dell’esistenza di un intimo legame tra le due arti. Ne sono testimonianza alcuni passi di lettere alla moglie Julia all’inizio dell’estate del 1914: “In questi giorni ho acquistato, all’aperto, una nuova, stretta sensibilità per l’universo delle grandi forme, dei grandi ritmi, gli unici che, come solamente Bach sa fare, riescono a darmi un senso di pienezza”[19]; e ancora: “È della massima importanza semplificare i mezzi espressivi. Sempre meglio lo capisco quando mi dedico a Bach”[20].
È anche il periodo in cui Feininger conquista un equilibrio e una pacificazione formale, secondo quanto lui stesso narra nel “Dialogo” del 1917 con il poeta Adolf Knoblauch:
“La chiesa, il mulino, il ponte, la casa – e il cimitero – hanno sempre suscitato in me, fin da bambino, solenni sentimenti. Infatti essi racchiudono un valore simbolico […]. Col trascorrere del tempo mi riesce sempre meglio distaccarmi da forme tormentate e spezzate. La forma definitiva può essere ottenuta soltanto con la piena calma dell’immagine. […]. Esiste una sola arte – l’arte senza tempo”.
E proseguiva:
“Il mio bisogno di comunicare è così grande che non lo posso esprimere a parole. Spesso mi siedo all’organo e cerco liberazione nella potenza della musica di Bach. Dalle note di una fuga o di un corale nasce allora in me un mondo trasfigurato di affascinante bellezza. […] Io non sono uno che vuole tutto rinnovare, ma un uomo che, se vuole vivere, deve rompere con il suo tempo. Anche a costo di restare indietro rispetto ad esso” [21].
Questa nuova armonia orchestrale che investe forme e colori, quasi una monumentalità trasfigurata, è frutto di una lettura più intellettuale e interiorizzata delle opere di Bach. La filosofia creatrice del Bauhaus stesso ne trarrà alimento.
Quando Gropius e i suoi amici discutono a Berlino la fondazione di una nuova scuola pensano subito a Weimar, dove fondano lo Staatlische Bauhaus, e vi chiamano, nel 1919, come primo ‘maestro’ per il corso di stampa grafica, Lyonel Feininger. Qui Lyonel ha l’opportunità di condividere anche la sua passione per la musica e soprattutto per Bach. Passione che si alimenta attraverso l’amicizia con vari artisti: Paul Klee, Wassily Kandinsky, Johannes Itten, Oscar Schlemmer, Lázló Moholy-Nagy, Lothar Schreyer e Gertrud Grunow con la loro “dottrina armonica”, Josef Albers, creatore nel 1925 di una composizione in vetro dal titolo “Fuge”, il rumeno Heinrich Neugeboren, pianista e compositore, ideatore nel 1928-1929 di una personale interpretazione grafico-plastica dell’incipit della “Fuga in mi bemolle minore” quale proposta per un monumento a Bach, nonché Ludwig Hirschfeld-Mack, allievo di Lyonel e autore nel 1923 dei Reflektorische Lichtspiele. Molti maestri, ma soprattutto allievi che coltivano il proprio gusto musicale anche frequentando la Bauhauskapelle, nota anche come Bauhaus Jazz Kapelle, aperta alle nuove tendenze.
Fra quelli ricordati emerge il particolare legame intessuto con Paul Klee. Anche Klee era figlio di musicisti e nell’ultimo decennio del secolo aveva suonato il violino nell’orchestra di Stato di Berna. Nel 1906 aveva sposato Lily Stumpf, anch’essa musicista di raffinate doti cui Feininger stesso aveva donato il 14 marzo del 1926 una copia autografa della pagina finale della sua IX fuga in ricordo delle frequenti visite reciproche e delle serate musicali trascorse insieme[22]. Concerti domestici (Hausmusik) che dall’estate 1919 s’intensificano grazie alla partecipazione di musicisti professionisti. Fra questi Fritz Reitz, primo violino del Nationaltheater, che esegue per Feininger alcuni brani del repertorio bachiano: la Ciaccona, due Concerti per violino e un concerto per due violini in coppia con l’altro violinista Engelmann. In questi appuntamenti settimanali Lyonel stesso siederà al pianoforte assieme al giovane compositore Hans Brönner per suonare alcune pagine bachiane come la Passacaglia e il Preludio e fuga in si bemolle minore.
“Mi ha fatto bene perché ho potuto finalmente dimostrare qual è la mia concezione dell’opera di Bach, e Hans mi ha molto lodato e vedendo come Bach faccia intimamente parte del mio essere, ha detto di essere veramente stupìto del fatto che io faccia il pittore anziché il musicista. Ma poi abbiamo convenuto che l’essenza della musica di Bach trova altrettanto viva espressione anche nella mia pittura”[23].
Hans Brönner (1892-1978), già maestro di musica del figlio Laurence e per qualche tempo di Felix Klee, sprona Lyonel a intensificare i suoi studi della letteratura organistica: i nove volumi dell’Opera Omnia organistica di Bach nell’edizione Peters, utilizzata da Lyonel fin dal 1909, riportano chiaramente, come già accennato, l’evidente traccia di un costante e intenso utilizzo[24].
Al tempo stesso il giovane maestro asseconda il desiderio di Lyonel di potersi addentrare nei meandri più segreti della composizione dando forse inconsapevolmente avvio alla successiva attività compositiva di Lyonel stesso:
“Io allora – riferisce Brönner in una lettera al figlio Laurence – gli feci avere una mia composizione per organo (per il suo cinquantesimo compleanno il 17 luglio 1921), che inaspettatamente gli fece una tale impressione da indurlo poco tempo dopo a sorprendere me stesso con una analoga composizione di sua mano”[25].
Quest’attrazione nei confronti della tecnica compositiva trova nuova linfa nel regalo che la moglie Julia gli fa nel Natale del 1919: l’edizione del 1910 dell’Arte della fuga di Bach curata da Max Ritter per i tipi di Max Hesses di Lipsia[26]… una vera rivelazione. Lyonel utilizza il volume come manuale di analisi nell’intento di “penetrare con forza e successo nell’essenza della composizione severa”[27]. Le numerose sottolineature e annotazioni in margine a questo vero e proprio catechismo di contrappunto testimoniano la sua ferma volontà di carpire e capire i meccanismi profondi dell’arte polifonica: un incessante e disciplinato lavorìo cui si sottopone sostanzialmente da autodidatta. Lo racconta ad Alois J. Schardt nel passaggio di una lettera del 14 dicembre 1924:
“Per me personalmente è stata una grande soddisfazione vedere che i miei tentativi di autodidatta della composizione musicale siano stati apprezzati”[28].
Il contrappunto diventa cellula vivente della musica, come infinito e continuo rinnovamento, come crescita spirituale che miracolosamente muove la meccanica interna dei suoni: una divina matematica che a partire dal nucleo tematico innerva un complesso reticolo fino a costruire composizioni-monumentali e composizioni-cattedrali. Per Feininger – come ben rileva il suo biografo Hans Hess – “la forma fugata e la dialettica del contrappunto erano [infatti] chiari principi del pensiero”.
“Questi principi – prosegue Hess – erano in sintonia con il suo carattere e il suo modo di pensare, diventando così principio formale dei suoi quadri. Alla pittura di Feininger si possono applicare i principi della struttura propria della fuga musicale. Nei suoi quadri vivono tutte le possibilità dell’inversione, del rispecchiamento, dell’incrocio e compenetrazione, della contemporaneità degli eventi, come le troviamo applicate nella musica, con lo scopo di dar vita a un ordine spaziale e temporale. Applicabili sono le leggi del contrappunto – ma soltanto come forma della concezione strutturale, non come contenuto. In tale uso del contrappunto Feininger è un innovatore della pittura, ma non avrebbe potuto dar vita a tale innovazione se in lui non fossero già state vive le leggi del contrappunto. Gli anni del Bauhaus furono particolarmente ricchi di esperienze. I principi della musica vivono nei suoi dipinti: solo i principi, non la musica”[29].
Affermazione quest’ultima che trova pieno riscontro nelle lucide parole che Feininger stesso, pochi anni prima dalla sua scomparsa, rivolge a Mark Tobey in una lettera del 2 maggio 1950:
“Senza ombra di dubbio Musica e Pittura appartengono una all’altra integrandosi reciprocamente nell’espressione e validità; non devono essere copiate, una disciplina nell’altra, come alcuni erroneamente tentano di fare”[30].
L’opera musicale
Lyonel Feininger si dedica alla composizione tra il 1921 e il 1927, nel periodo del Bauhaus, prima a Weimar e successivamente a Dessau. Serberà però per sé e per una ristretta cerchia di amici il prodotto di una ricerca ritenuta intimamente personale.
Feininger inizia a comporre la sua prima fuga a quattro voci in re diesis minore, il giorno dopo il suo cinquantesimo compleanno – una prima versione risolta in 14 giorni il 31 luglio 1921. Metà della composizione è stata cancellata e chiosata dall’autore con lucido realismo: “tuktuktuk! ma è tutto sbagliato!”. Il riconoscimento di questo parziale fallimento lo stimola a riprenderla in mano, rielaborarla, questa volta nell’omologa tonalità di mi bemolle minore e in una stesura finale che vede utilizzare una falsariga di zinco con intagliate le varie teste delle note, chiavi e le pause dando una veste grafica leggibile ed elegante quasi simile a una edizione a stampa: un lavoro meccanico di copiatura che utilizzerà anche per le successive partiture.
La seconda fuga a quattro voci in la bemolle maggiore fu composta nei mesi successivi e donata alla moglie Julia per il suo compleanno nel novembre dello stesso anno. Si tratta di un unicum poiché utilizza un soggetto a note ribattute che richiama i lavori di Buxtehude e, dove, compaiono numerose indicazioni dinamiche e ritmiche.
Sempre del 1921 è la terza fuga, una giga a tre voci in sol maggiore rifinita in doppia stesura.
Le prime tre fughe sono pensate per il pianoforte: si trova tra l’altro conferma dalla scrittura su sistemi di due righi e nell’estensione delle voci.
A partire dalla quarta a cinque voci, iniziata ancora nel 1921, tutte le fughe sono pensate solo per organo e si comincia a ravvisare un’abilità compositiva dove il contrappunto si articola nell’utilizzo del tema anche per moto contrario e con procedimenti per diminuzione e dove talvolta le indicazioni dinamiche e ritmiche e persino i registri dell’organo vengono indicati con precisione. Il linguaggio cromatico rende incerto l’impianto tonale della composizione che inizia in do maggiore ma termina inaspettatamente in sol diesis maggiore.
Non si ha traccia della quinta fuga: il figlio Laurence ipotizza che sia stata iniziata contemporaneamente alla quarta, ma che, concepita ancora per pianoforte, possa essere stata distrutta dall’autore stesso.
Il 1922 fu l’anno in cui Feininger si cimentò nella composizione delle tre successive fughe. La fuga sesta a cinque voci in do maggiore fu l’unica a essere riprodotta in facsimile, quale inserto al famoso Europa-Almanach, pubblicato nel 1925 da Carl Einstein e Paul Westheim: forse per incentivare una maggiore fruizione il sottotitolo recitava “für Orgel oder Klavier zu 3 Händen”. Questa fuga, fu eseguita nel 1926 a Los Angeles in occasione dell’inaugurazione dell’esposizione The Blue Four. In quell’occasione il compositore Ernest Bloch avrebbe affermato che nessuno in America era in grado di scrivere una simile composizione. Le fughe a seguire avranno tutte dimensioni monumentali con numero di battute superiore alle duecento. La versione definitiva di questa partitura è datata 27 agosto 1935.
La fuga settima a cinque voci in si bemolle minore fu dedicata alla memoria del padre morto a New York il primo febbraio 1922. Il soggetto di questa fuga presenta la melodia per moto contrario rispetto al tema della prima.
La fuga ottava a quattro voci in re maggiore è probabilmente la composizione più tormentata nel tentativo di trovare soluzioni via via più convincenti: oltre alle due versioni principali riscontriamo un’ulteriore revisione sullo stesso soggetto anche nella fuga tredicesima.
La fuga nona a quattro voci in mi minore fu composta nel 1923 ed è quella di concezione più monolitica. Fu eseguita il 3 dicembre 1924, in occasione di una serata musicale con il pianista Willi Apel, nella sala grande del Bauhaus, così come fu inclusa anche nel programma del marzo 1925, in occasione di un altro concerto al Conservatorio di Lipsia, accanto ad opere di Bach, Rameau, Halm e altri.
La fuga decima a quattro voci in la minore vide la luce soltanto nel 1925. È una pagina con numerose reminiscenze bachiane.
L’anno successivo si dedica alle fughe undicesima e dodicesima, le ultime composte a Weimar prima del trasferimento della scuola a Dessau. La fuga undicesima, a quattro voci in mi bemolle minore presenta ancora riferimenti tematici al Kantor e ci è pervenuta nella versione autografa del 25 luglio 1942. La fuga dodicesima a cinque voci in sol minore reca il titolo Ahasversus forse in riferimento, come ipotizza Deuchler, al mito dell’ebreo errante.
La tredicesima fuga, a quattro voci in re maggiore, l’ultima con stesura definitiva fu composta nel 1927 a Dessau. Si tratta, come già accennato, di una ampia revisione della settima fuga. Vi sono vari abbozzi per una ulteriore fuga in re minore, avviata nel marzo del 1928 ma mai completata.
Da questo momento pare chiudersi un ciclo e delinearsi l’abbandono di ogni sistematica attività compositiva. Le ragioni per le quali Lyonel sia giunto a questa scelta non sono note ma si può supporre che vi abbiano contribuito da una parte ragioni contingenti legate alla sua professione artistica, il progressivo mutare delle condizioni di vita e forse anche la constatazione di aver raggiunto gli obiettivi insiti nella sua ricerca che non era certo il pubblico riconoscimento della sua abilità compositiva quanto il raggiungimento sul piano intimo di una maggiore capacità espressiva in grado di soddisfare la sua vena artistica.
A metà degli anni trenta, dopo la stesura definitiva della sesta fuga, Feininger è sempre più convinto a lasciare definitivamente la Germania dove gli manca la serenità necessaria per comporre. Il ritorno in America nel 1937 di fatto non porterà alcun particolare cambiamento immediato. Le condizioni di vita completamente mutate e le preoccupazioni per l’esistenza, soprattutto nei primissimi anni a New York, nonché la scarsa stimolazione esteriore, possono aver congiuntamente influito a far sì che egli non abbia più voluto mettere mano a nuovi progetti di fughe. Questo almeno secondo quanto racconta il figlio Laurence, che peraltro sottolinea come l’interesse del padre per la musica e più in particolare per Bach non sia mai scemato. Nella sua dimora newyorkese non mancano le nuove edizioni delle produzioni bachiane: tra il 1945 e il 1953 acquista, ad esempio, alcuni volumi delle opere per organo delle edizioni Augener, le Suite inglesi per piano della Schirmer, le Invenzioni a due e tre voci per piano della Fischer, le Partite e Overture in stile francese e nuovamente il Clavicembalo ben temperato entrambe della Kalmus. Sono presenti anche le Sonate e partite per violino solo di Bach e gli amati studi di Kreutzer sui quali riprende ad esercitarsi negli anni quaranta. Nei colloqui con i figli, e con Laurence in particolare, o nella corrispondenza con gli amici, Mark Tobey in testa, non abbandona poi mai la curiosità, la sorpresa e l’entusiasmo per la scoperta di nuovi autori e di nuove sonorità:
“Nostro figlio Laurence – racconta a Tobey in una lettera del 4 ottobre 1950 – è venuto da Roma, è arrivato il 9 settembre e sta qui con noi a Plymouth. È molto occupato con delle messe di Benevoli, le sta preparando per la pubblicazione. Un magnifico compositore, Benevoli, che in certi aspetti, come pensa Laurence, può essere all’altezza di Bach. Lui precedeva Bach di alcune decadi. Abbiamo un chiassoso pianoforte verticale nella sala da pranzo dell’albergo e Laurence suona le messe dalle partiture, 16 voci, 4 cori, in mezzo all’acciottolìo dei piatti che vengono lavati nel retrocucina accanto alla sala”[31].
Soprattutto l’attività di studio del figlio e la rete di relazioni da lui intessuta gli consentirà di conoscere e frequentare i maggiori esperti di musicologia: fra gli altri Alfred Einstein col quale stringe amicizia al Black Mountain College proprio nel 1945, Manfred Bukofzer, Edward Lowinsky, Gustave Reese e Dragan Plamenac. Rincontrerà inoltre Willi Apel, anche lui transfugo dalla Germania, consolidando e arricchendo attraverso tutti questi contatti un patrimonio di conoscenze artistico-musicali già di per sé consistente.
La metodologia compositiva
La lettura complessiva dell’opera musicale di Lyonel Feininger permette di mettere in evidenza alcune particolarità delle sue scelte compositive. Primariamente quella dei temi: sempre molto ampi e distesi, spesso con valori larghi delle note tali da prestarsi a una continua germinazione. Essi sono potenti e massicci, apparentemente insignificanti – come suggerisce Laurence – ma protesi pur nelle caratteristiche movenze pacate alla costruzione del “monumentale”. All’interno di un impianto dettato dalla severità tipica del meccanismo contrappuntistico Feininger opta spesso per una polifonia più libera e smarcata dalle regole scolastiche della fuga accademica. Sul versante armonico vi è la predilezione dell’impianto tonale, anche se tormentato da quel cromatismo tipico del Novecento musicale che, se talvolta produce un disorientamento armonico, una sorta di sperimentazione audace, non compromette mai la matrice barocca facilmente riconoscibile[32].
Quanto al metodo compositivo, appare chiaro da numerose testimonianze, il necessario controllo e riscontro di quanto steso sulla carta anche sulla tastiera del pianoforte o dell’armonium. In questi casi vi era spesso l’intervento di Brönner e anche di Laurence che al Bechstein faceva la parte del pedale. Si ha testimonianza, in questi anni, di esecuzioni da parte di altri musicisti tra Weimar, Erfurt, Halle, Berlino e Braunschweig, sia in chiesa sia in sale da concerto che perlopiù deludevano il compositore; nella memoria famigliare rimangono “i lunghi strimpellati esperimenti all’organo nella piccola chiesa ad Ost-Deep” dove il figlio Laurence si cimentava a interpretare queste difficili pagine con il padre a fianco.
Era l’orecchio a dare l’ultima parola sulla bontà del pensiero e sull’opportunità di dover rivedere il passo o poter invece proseguire sulla strada tracciata. A questo proposito è Lyonel stesso a documentare il modus operandi:
“Mentre lavoravo nell’atelier, Hansen [Hans Brönner] suonava sull’armonio il pedale d’armonia dalla mia fuga e il suo effetto era grande proprio conforme all’organo ed io dopo lungo cercare sono riuscito finalmente ad andare avanti e la fuga si è rimessa in moto. Ad Hans piace.”[33]
In altri passi delle lettere del periodo appare chiaro come sedersi al pianoforte, anche spesso con la complicità del figlio Laurence, diveniva una tappa necessaria per un controllo autorevole di quanto composto. Altre volte poteva giovarsi di voci esterne quali quelle dei musicisti o musicologi come Fritz Reitz, Willi Apel e Erick Moritz von Hornbostel.
Anche per il metodo di lavoro adottato diviene comprensibile lo straordinario numero di revisioni cui Feininger sottoponeva le sue fughe nota dopo nota, ritmo dopo ritmo, pausa dopo pausa, alla spasmodica ricerca di quell’armonia di forme e contenuti che tanto bramava. Significativo rimane quanto affermato in una lettera del 6 novembre 1922 indirizzata all’amata Julia:
“Ho trovato per la fuga nr. 6 un nuovo contrappunto, che le ha fatto bene, ci sono alcune entrate troppo pesanti. Il continuo contrappunto all’ottavo era troppo ambizioso e portava ad un aumento di velocità in proporzione all’andamento – ma ora ho ottenuto un ritmo dalla rinnovata vivacità, che lascia il tempo maestoso e simile all’organo e allo stesso tempo molto accentato. Il motivo in ottavi viene utilizzato nel quarto movimento, ma non così a lungo ed indipendentemente, da distruggere la fuga, come era successo. In merito a questo punto morto ho trovato una via d’uscita solo dopo due settimane di tormento, che sta a dimostrare, che nell’impianto c’era un qualcosa di sbagliato – come talvolta succede anche nei dipinti”[34].
Molte delle revisioni intermedie delle fughe sono divenute in seguito versioni definitive grazie al lavoro di ricopiatura condotto dal figlio Laurence o da Brönner. Lyonel, tuttavia, pur riconoscendole non perse mai occasione d’introdurvi nuove revisioni. Tra tutte spiccano le copie trascritte da Laurence nel 1925 e nel 1928 e donate al padre in occasione rispettivamente di un compleanno e delle festività natalizie. In questo secondo caso, si trattava di un volume con la copia di tutte le fughe per organo “preziosamente rilegato in pelle bianca (da Dorfner a Weimar) col titolo in rilievo, e su carta di risguardo laminata d’oro, nella speranza di creare, così facendo, un documento definitivo. Fatica vana: perfino qui furono apportate ulteriori correzioni e vi furono incollate righe intere con nuove stesure”[35].
L’ultima sistemazione risale al 1971 quando Laurence, nella ricorrenza del centesimo anniversario della nascita del padre, opera una selezione sugli autografi delle stesure definitive di tutte le fughe, comprese quelle per pianoforte. Tale selezione fu pubblicata in anastatica e raccolta in una cartella che riproduceva quella xilografica progettata e realizzata da Lyonel stesso nella stamperia del Bauhaus per contenere i propri lavori musicali: una vera e propria opera d’arte d’impianto simbolico dal titolo “Fugen”[36].
Il lungo viaggio
Quasi a coronamento di un lungo viaggio, la musica e le ispirazioni artistiche di Lyonel – dall’architettura alla fotografia, dalla pittura all’insegnamento – si incidono nelle esistenze dei cinque figli nati dai due matrimoni con Clara Fürst e Julia Lilienfeld: Lore (1901-1991), Marianne (1902-?), Andreas (1908-1999), Laurence (1909-1976) e Theodore Lux (1910-2011)[37]. Sarà però Laurence (significativamente registrato all’anagrafe con gli altri nomi di Karl e Johann, il nonno da una parte e il sommo Bach dall’altra) a raccogliere e interpretare autonomamente, sul piano musicale e con il costante appoggio della madre Julia, la ricchezza intellettuale del padre: Laurence esplorerà l’universo musicale con pari sensibilità e caparbietà fino a invaghirsi della musica sacra della Chiesa romana scoprendovi insospettabili espressioni della spiritualità umana[38].
Laurence Feininger studia musica e composizione con Hans Brönner[39] (poi maestro e mentore del padre) e con Willi Apel (uno dei primi esecutori delle musiche di Lyonel). Si dedica contemporaneamente al flauto, al clarinetto e all’oboe. Siamo a Weimar, agli inizi degli anni venti, periodo nel quale si esercita all’organo con il padre nelle piccole chiese della Turingia. Nel 1928 sceglie di formarsi come organista da chiesa e studia dapprima con Paul Hopf a Eisenach e l’anno successivo ad Hannover. Nel 1931 si stabilisce ad Heidelberg dove frequenta presso l’Istituto superiore di musica religiosa il corso di composizione con Wolfgang Fortner (che contemporaneamente intreccerà un rapporto di amicizia con Lyonel)[40]. S’iscrive successivamente all’Università di Heidelberg e segue, fra gli altri, il corso di musicologia tenuto da Heinrich Besseler, ritenuto uno dei padri di questa disciplina. Attratto dalla forza spirituale della liturgia e dalla bellezza armonica del canto gregoriano decide di convertirsi al cattolicesimo: riceve il battesimo il 19 maggio 1934. Il suo cammino prosegue con il conseguimento il 28 giugno 1935 della laurea in storia della musica con la tesi Die Frühgeschichte des Kanons bis Josquin des Pres (um 1500), poi pubblicata nel 1937. La tesi, battuta a macchina dalla madre Julia ebbe una speciale attenzione del padre attratto dalle prime forme contrappuntistiche oggetto dello studio. All’inizio del 1938 Laurence si trasferisce in Italia dove scandaglia numerosi archivi alla ricerca di manoscritti musicali tre-quattrocenteschi. Nelle sue peregrinazioni approda anche a Trento dove inizia a studiare i sette “Codici Trentini” del Quattrocento, che trascriverà integralmente. Da questo momento in avanti la sua esistenza sarà votata alla missione di salvare dall’oblio del tempo e dalla distruzione dell’uomo i tesori musicali della Chiesa Cattolica; un impegno che abbraccerà con rinnovato slancio nel 1946, quando, dopo un periodo di enormi tensioni spirituali, fu ordinato sacerdote. Il lavoro di studio e ricerca portato avanti incessantemente si sostanzierà in varie iniziative, sempre sostenute dai genitori e talvolta finanziate grazie alla vendita di opere del padre in una sorta di scambio ideale volto alla salvezza di importanti testimonianze dell’ingegno umano a beneficio dei posteri. Nacquero così: una casa editrice, la Societas Universalis Sanctae Ceciliae, per la pubblicazione di trascrizioni di musica polifonica del Quattrocento e della Scuola policorale romana del Sei-Settecento[41] (142 i volumi editi tra il 1947 e il 1975); un archivio e una Biblioteca specialistica di musica sacra, primariamente gregoriana, con testimonianze manoscritte e a stampa dal XII al XVIII secolo[42]; il Coro del Concilio per dare voce alle partiture da lui riscoperte.
In queste poche e sintetiche note biografiche si coglie non solo la perfetta assonanza d’intenti, interessi e valori che legava fra loro genitore e figlio, già precedentemente rilevata, ma anche la fonte della particolare chiave interpretativa elaborata da Laurence per raccontare l’opera paterna:
«Come in un singolo quadro la chiesa del villaggio di Gelmeroda o un qualsiasi altro motivo, già ridotto all’essenziale in uno schizzo dal vero, determina solo in parte come punto di partenza la disposizione grafica della rappresentazione monumentale, così è l’intima visione delle possibilità di sviluppo musicale nel tema di una fuga, che lo stimola alla composizione. Come l’esperienza visiva di un qualsiasi motivo influisce sull’inconscio creativo, forse a distanza d’anni o di decine d’anni, fino a trasformarsi in un quadro, così l’esperienza acustica delle fughe di Bach, come una categoria di possibilità di rappresentazione musicale continua ad agire, finché, non senza influssi esterni, non trova la sua ripercussione in creazioni proprie che non si possono più ricondurre all’uno o all’altro determinato modello, ma che traducono in un linguaggio completamente nuovo, ciò che è giunto a maturazione attraverso l’esperienza complessiva della creazione delle fughe di J. S. Bach»[43].
Ne scaturì una prospettiva di analisi che ha orientato gli studi sul grande pittore a partire dai primi anni settanta e che hanno certamente beneficiato della maggiore attenzione nei confronti della comprensione del rapporto fra musica e rappresentazione pittorico-artistica, ma anche della possibilità di dialogare con le fonti familiari oggi custodite presso la Houghton Library della Harvard University, Cambridge, Massachusetts (si consulti per l’inventario il sito http://oasis.lib.harvard.edu). Sicuramente un invito a proseguire in quell’affascinante viaggio di scoperta che Lyonel Feininger ha intrapreso e che le sue opere continuano a rammentare.
Alla ricerca di Lyonel: appunti per una bibliografia critica
I temi accennati sinteticamente nelle pagine precedenti sono stati oggetto di approfondimento da parte di numerosi e autorevoli studiosi che sulla traccia di quanto indicato da Laurence Feininger hanno indagato la personalità di Lyonel in tutte le sue componenti artistiche, culturali, intellettuali e umane. Colui che sarebbe potuto apparire ai più come un personaggio posto a confine fra diverse aree creative, la musica e la pittura, in realtà si è sempre più stagliato nitidamente nel panorama mondiale come rara e straordinaria sintesi della più profonda spiritualità umana. Una prima traccia di ciò la si può trovare nello spunto critico offerto da un articolo di James W. Lane del 1941 e più marcatamente nella biografia di Hans Hess del 1959, ma sarà solo con gli anni settanta che i contributi si impossesseranno convintamente di questa nuova dimensione interpretativa. Di seguito si offre una sintetica bibliografia degli studi critici apparsi su Lyonel Feininger proprio sulla relazione musica-pittura che tanto posto ha occupato nell’esistenza dell’artista. Un lavoro offerto senza pretese di esaustività. Si auspica che l’edizione critica dell’opera musicale di Feininger curata da Paolo Delama nel 2016, oltre a confermare la validità di una certa pista di ricerca storico-artistica, dia nuovo impulso all’esecuzione di questo repertorio pressoché sconosciuto[44].
BIBLIOGRAFIA
1941 | James W. Lane, “Feininger’s Counterpoint in Paint: Lyonel out of Johann Sebastian”, in: Art News, vol. 40, nr. 3, pp. 38-39.
1959 | Hans Hess, Lyonel Feininger. Mit einem Œuvre-Katalog von Julia Feininger, W. Kohlhammer Verlag, Stuttgart.
1971 | Laurence Feininger, Das musikalische Werk Lyonel Feiningers, Schneider, Tutzing.
1974 | June L. Ness, Lyonel Feininger (Documentary Monographs in Modern Art), Praeger, New York.
1976 | Paul Mies, “Malerei und Musik bei Lyonel Feininger”, in: Zeitschrift für Ästhetik und Allgemeine Kunstwissenschaft, vol. 21, n. 1, pp. 123-129.
1977 | Edward Lowinsky, “Laurence Feininger (1909-1976). Life, Work, Legacy”, in: Musical Quarterly, 63, pp. 327-366.
1985 | Karin von Maur (a cura di), Vom Klang der Bilder. Die Musik in der Kunst des 20. Jahrhunderts, Stuttgart-München.
Nello stesso catalogo-affresco sulla musica che intona l’arte moderna curato magistralmente da Karin von Maur si vedano anche i due studi: Friedrich Teja Bach, “Johann Sebastian Bach in der klassischen Moderne”, pp. 328-335; Hans Heinz Stuckenschmidt, “Musik am Bauhaus”, pp. 408-413.
1991 | Stephan E. Hauser (a cura di), Feininger and Tobey, Years of Friendship 1944-1956. The Complete Corrispondence, Achim Moeller Fine Art, New York.
Andreas Hüneke, “Das Wesen Bachs in der Malerei. Feiningers Bezug zur Musik”, in: Lyonel Feininger. Begegnung und Erinnerung. Lüneburger Motive 1921-1954, Kulturforum Lüneburg 1991, p. 16-18.
1996 | Florens Deuchler, Lyonel Feininger sein Weg zum Bauhaus-Meister, E.A. Seemann, Leipzig.
1998 | Karin von Maur: “Feininger und die Kunst der Fuge”, in: Roland März (a cura di): Lyonel Feininger. Von Gelmeroda nach Manhattan. Retrospektive der Gemälde, Berlin-Munchen, 1998-1999, pp. 272-285.
Christoph Metzger, “Die künstlerische Bach-Rezeption bei Paul Klee und Lyonel Feininger”, in: Musikwissenschaft zwischen Kunst, Ästhetik und Experiment: Festschrift Helga de la Motte-Haber zum 60. Geburstag, Königshausen & Neumann, Würzburg, pp.371-385.
1999 | Christoph Zuschlag, “Feininger und Fortner. Unbekannte Aquarelle und Briefe Lyonel Feiningers. Dokumente einer Künstlerfreundschaft”, in: Weltkunst 69, 1999, Nr. 6, pp. 1130-1133.
2007 | Christiane Weber, Lyonel Feininger genial – verfemt – berühmt, Weimarer Taschenbuch Verlag. Si vedano i capitoli: “Musik als Lebensquell”, pp. 70-73 e “Bilder wie Bachs Fugen”, pp. 74-77.
2010 | Peter Vergo, The Music of Painting, Phaidon Press Limited, London-New York. Si veda all’interno del capitolo V “The Art of Fugue” il testo su “Feininger”, pp. 226-230.
2011 | Bryan Gilliam, “In the Shadow of Bach: Lyonel Feininger as Musician”, in: Barbara Haskell, Lyonel Feininger At the Edge of the World, Whitney Museum of American Art, New York, The Montreal Museum of Fine Arts, Yale University Press, New Haven and London.
2016 | Paolo Delama (a cura di), Lyonel Feininger. Fugen. L’opera musicale, “Centro di eccellenza Laurence Feininger”, Trento; LIM, Lucca.
Desidero ringraziare Rodolfo Taiani e Paolo Delama per i preziosi suggerimenti. Tutte le citazioni riportate nel testo sono state tradotte dall’originale in italiano a cura dell’autore, di Rita Cattani, Daniela Facchinelli e Isabella Streicher.
NOTE
[1] T. Lux Feininger, Andreas Feininger, Lyonel Feininger. City at the Edge of the World, Praeger, New York, 1965: p. 19 (edizione italiana: Arte e Giocattoli di Lyonel Feininger, Silvana Editrice, Milano, 1965: p. 19).
[2] L’unica eccezione, al di là delle parziali citazioni all’interno della più generale saggistica critica, sembra essere un breve articolo di James W. Lane comparso nel 1941 sul n. 3 della rivista Art news col titolo “Feininger’s Conterpoint in Paint: Lyonel out of Johann Sebastian”, pp. 38-39.
[3] Gli studi più importanti sono comparsi dal 1971 così come documentato nella sintetica rassegna bibliografica a conclusione di questo articolo.
[4] Laurence Feininger, Das musikalische Werk Lyonel Feiningers, Schneider, Tutzing, 1971: p. 9.
[5] Si tratta di uno strumento prodotto dalla Estey Organ Company con sede nel Vermont che dai primi anni dieci del Novecento lo ha accompagnato fino alla sua fuga negli USA.
[6] Karl era emigrato con i genitori negli Stati Uniti nel 1853 sulla scia della fallita rivoluzione del 1848-1849 a Baden. Conobbe la futura moglie, anch’essa di origine tedesca, nella nuova patria.
[7] Karl Feininger, An experiential psychology of music, August Gemünder & Sons, New York, 1909.
[8] Ne è riflesso il sommario stesso dell’opera che così elenca i vari campi d’indagine: “Mechanism, Teaching, Luxury, Necessity, Musicians, Criticism, Psychology, Genius”.
[9] Ernst Scheyer, Lyonel Feininger. Caricature and Fantasy, Wayne State University Press, Detroit, 1964, p. 55.
[10] Lettera di Lyonel Feininger a Julia, 7 dicembre 1905 (citata in Florens Deuchler, Lyonel Feininger sein Weg zum Bauhaus-Meister, E.A. Seemann, Leipzig, 1996, p. 176).
[11] A onor del vero occorre ricordare tutta la grande stima che anche il padre Karl aveva della musica del Grande Architetto: “La mente di Bach – scriveva nel 1909 – è una delle menti più potenti che conosciamo […] in quanto rivela quel particolare equilibrio tra Ragione e Intelletto che ha sempre contraddistinto le menti superiori di tutte le epoche. Nella musica di Bach possiamo sentire, vedere, toccare e conoscere le più alte ricompense alle più alte aspirazioni; la più confessata adorazione e proclamazione del potere divino e del pensiero” (Karl Feininger, An experiential psychology…, op. cit., p. 186).
[12] Laurence Feininger, Das musikalische Werk…, op. cit., p. 5.
[13] Lettera di Lyonel Feininger a Elisabeth Mayer, 18 maggio 1918 (citata in Florens Deuchler, Lyonel Feininger…, op. cit., p. 176).
[14] Stephan E. Hauser (a cura di), Feininger and Tobey, Years of Friendship 1944-1956. The Complete Corrispondence. Achim Moeller Fine Art, New York, 1991, p. 63.
[15] È quanto affermato in una lettera di Lyonel Feininger a Julia del 9 novembre 1929, trascritta in Lyonel Feininger, a cura di June L. Ness, Praeger, New York, 1974, p. 193.
[16] Hans Hess, Lyonel Feininger. Mit einem Œuvre-Katalog von Julia Feininger, Kohlhammer Verlag, Stuttgart, 1959, pp. 55-56.
[17] Karin von Maur, “Feininger und die Kunst der Fuge”, in: Roland März (a cura di), Lyonel Feininger. Von Gelmeroda nach Manhattan. Retrospektive der Gemälde, Berlin-Munchen, 1998-1999, p. 274. Sia von Maur che Deuchler esplorano per primi e con rara sapienza i meandri dei rapporti sinergici tra musica e colore.
[18] Una disamina dei soggetti musicali nell’opera di Lyonel attende ancora di essere approfondita. Ringrazio Achim Moeller e Sebastian Ehlert per la loro preziosa indagine sulle fonti.
[19] Lettera di Lyonel Feininger a Julia, 9 giugno 1914 (citata in Hans Hess, Lyonel Feininger…, op. cit., p. 72).
[20] Lettera di Lyonel Feininger a Julia, 13 giugno 1914 (citata in Florens Deuchler, Lyonel Feininger…, op. cit., p. 142).
[21] Il dialogo, “Zweisprache Feininger-Knoblauch”, è pubblicato sulla rivista berlinese Der Sturm, anno VIII (1917), n. 6, edita da Erwarth Walden.
[22] La fotografia della composizione che Lyonel aveva scritto sul libro degli ospiti di Lily Klee è stata donata a Laurence Feininger da Felix Klee, nel 1973, nel corso di una visita a Berna.
[23] Lettera di Lyonel Feininger a Julia Feininger, 18 maggio 1920 (citata in Hans Hess, Lyonel Feininger…, op. cit., pp. 96-97).
[24] I maggiori preludi e fuga, le Toccate, le Fantasie del Grande di Eisenach sono visibilmente più frequentati (e consumati) assieme ai grandi corali, specie quelli che utilizzano nel contrappunto il linguaggio privilegiato.
[25] Laurence Feininger, Das musikalische Werk…, op. cit., p. 9.
[26] Joh. Seb. Bachs Kunst der Fuge mit in den Notentext eingefügten. Analysen und Bemerkungen von M. Ritter Seminarleher. Leipzig, Max Hesses Verlag, 1910.
[27] Joh. Seb. Bachs…, op. cit., p. 3.
[28] Florens Deuchler, Lyonel Feininger…, op. cit., p. 179.
[29] Hans Hess, Lyonel Feininger…, op. cit., p. 97.
[30] Lettera di Lyonel Feininger a Mark Tobey, 2 maggio 1950, trascritta in Stephan E. Hauser (a cura di), Feininger and Tobey…, op. cit., p. 70.
[31] Lettera di Lyonel Feininger a Mark Tobey, 4 ottobre 1950, trascritta in Stephan E. Hauser (a cura di), Feininger and Tobey…, op. cit., pp. 73-74.
[32] Su questa tematica confronta anche Florens Deuchler, Lyonel Feininger…, op. cit., p. 193 e p. 206 che riporta le testimonianze di Hans Heinz Stuckenschmidt e di Arnold Schönberg sulle composizioni di Feininger, nel primo caso sottolineando il peso della tradizione e nel secondo quello del pensiero.
[33] Lettera di Lyonel Feininger a Julia, 15 novembre 1921, citata in Christoph Metzger, Die künstlerische Bach-Rezeption bei Paul Klee und Lyonel Feininger, in: “Musikwissenschaft zwischen Kunst, Ästhetik und Experiment: Festschrift Helga de la Motte-Haber zum 60. Geburstag”, Königshausen & Neumann, Würzburg, 1998, p. 381.
[34] Lettera di Lyonel Feininger a Julia, 6 novembre 1922, citata in Christoph Metzger, Die künstlerische Bach-Rezeption…, op. cit., p. 381.
[35] Laurence Feininger, Das musikalische Werk…, op. cit., p. 8.
[36] Tutti gli autografi sono stati donati dagli eredi Feininger alla Houghton Library presso la Harvard University, Cambridge, Massachussetts dopo la morte di Laurence mentre le copie già menzionate sono conservate nell’archivio di Danilo Curti-Feininger. Esse sono servite molto opportunamente per l’edizione critica delle musiche di Lyonel curata da Paolo Delama, Lyonel Feininger. Fugen. L’opera musicale, Centro di eccellenza Laurence Feininger, Trento; LIM, Lucca, 2016.
[37] T. Lux Feininger, pittore, didatta e fotografo, nella Bauhauskapelle suonava il clarinetto e il banjo. A questa esperienza ha dedicato un testo, ancora inedito, custodito presso il Bauhaus-Archiv di Berlino (T. Lux Feininger, Die Bauhauskapelle. Ein Beitrag zur Geschichte des Bauhauses, dattiloscritto di 7 cartelle, datato Cambridge, aprile 1987).
[38] Laurence condivise con il padre anche il gusto per la composizione. Le sue prime opere si collocano nel 1932: una Toccata per organo e delle Sonate per flauto. Nel 1933-1934 compone XI Preludes and Fugues per clavicembalo o organo: opere quest’ultime pubblicate in memoria del genitore nel 1972 per la Societas Universalis Sanctae Ceciliae. Del 1938 e 1939, con altra dedica al padre, sono una Fuga per violino solo e un Concerto per violino. Continuerà a comporre fino al 1940, poi, dopo uno stacco durato trent’anni ritornerà tra il 1971 e il 1974 a produrre raffinatissimi preludi e fughe in stile modale.
[39] Laurence ha pubblicato nelle sue edizioni musicali quattro partiture per organo di questo suo primo maestro, col quale rimarrà in stretto contatto per tutta la vita.
[40] Sul rapporto tra i Feininger padre e figlio e Wolfgang Fortner si veda lo studio di Christoph Zuschlag, “Feininger und Fortner. Unbekannte Aquarelle und Briefe Lyonel Feiningers. Dokumente einer Künstlerfreundschaft”, in: Weltkunst, anno LXIX (1999), n. 6, pp. 1130-1133.
[41] Laurence Feininger s’interessa soprattutto del compositore Orazio Benevoli (1605-1672), alla cui arte dedicherà ben 17 volumi di Messe da 10 a 23 voci e alcuni volumi di Salmi e Magnificat. Feininger è affascinato dalla maestria del compositore romano, dal suo uso pieno e originale delle possibilità timbriche e strutturali dei cori: Benevoli costruisce, infatti, per la prima volta un edificio sonoro d’enormi dimensioni; disciplina e organizza una massa di mezzi e di disponibilità in una forma architettonica che segna il passaggio dal Rinascimento statico al Barocco dinamico.
[42] La Biblioteca musicale Feininger e tutti i suoi fondi di studio è oggi custodita presso le Raccolte provinciali d’Arte nel Castello del Buonconsiglio a Trento. Tale fondo, di competenza della Provincia autonoma di Trento, è stato oggetto di numerosi interventi di catalogazione. Ne sono testimonianza i tanti volumi editi dall’Ufficio per i Beni librari e archivistici (oggi Soprintendenza per i beni culturali). Riferimenti a questi titoli e ai numerosi altri testi pubblicati dal medesimo organismo nell’attività di studio della biblioteca (perlopiù atti di convegno) si possono trovare al sito www.trentinocultura.net. L’attività di indagine prosegue grazie alla progettualità e promozione del Centro di eccellenza Laurence Feininger, associazione culturale per gli studi musicali con sede a Trento (associazione.feininger@gmail.com).
[43] Laurence Feininger, Das musikalische Werk…, op. cit., p. 6.
[44] Per una prima e sintetica elencazione relativa alle registrazioni commerciali e alle esecuzioni pubbliche dell’opera di Lyonel Feininger si confronti la mia introduzione al volume di Paolo Delama (a cura di), Lyonel Feininger. Fugen…, op. cit.